Domande obbligate – Quali risorse? Quale ruolo per l’attore pubblico?

Dove trovare le risorse

Il tema della trasformazione urbana in chiave sostenibile, ambientalmente e socialmente, pone grandi sfide di innovazione anche sul fronte della praticabilità economica di questi interventi, necessari a realizzare il cambiamento (funzioni urbane decentrate, infrastrutture sostenibili e opere di sostituzione immobiliare) e quindi in tema di nuova ingegneria finanziaria. Questo aspetto lo abbiamo approfondito grazie ad una lunga conversazione con Tommaso Dal Bosco, Presidente di Audis, l’associazione che riunisce gli operatori pubblici e privati impegnati in processi di rigenerazione urbana, di cui anche LAMA fa parte. Dal Bosco ha proposto varie riflessioni legate all’innovazione nell’approccio agli investimenti urbani attraverso l’uso della finanza strutturata non solo e non tanto come soccorso alla carenza di finanza pubblica ma come paradigma di trasparenza e sostenibilità.

La spesa pubblica non è sufficiente nè efficiente ed ha modalità di funzionamento non adeguate a realizzare un cambiamento che corre veloce. Di contro, le classiche formule di partnership pubblico-privato (es. project financing) hanno dimostrato la loro fallibilità e inclinazione speculativa. Sono abbastanza diffusi però nel panorama internazionale nuovi strumenti, come quelli dei Fondi comuni di investimento ad apporto che consentono da un lato al soggetto pubblico di apportare il patrimonio pubblico al fondo, diventandone “socio” ed affidando a questo la realizzazione delle infrastrutture (rimanendo proprietario del bene);  dall’altro di fare leva, attraverso il ricorso ad investitori istituzionali (casse e fondi pensione), sul risparmio privato (in Italia uno dei più alti al mondo).

Le logiche di funzionamento di questi fondi – ci spiega – ci liberano dalle micragnose ambizioni di piccoli o grandi speculatori immobiliari, perchè nel momento in cui il fondo si attiva le regole vengono definite a monte, in modo chiaro, definitivo, misurabile e trasparente. Questi tipi di investitori dichiarano una percentuale di ritorno che vogliono avere sugli investimenti e questa viene garantita dalla SGR (società di gestione del risparmio, selezionata con gara pubblica europea) attraverso un piano di remunerazione basato su canoni, affitti, tariffe ed altre entrate che l’investimento immobiliare “multifunzione” potrà garantire. Questo tipo di fondi, allettanti anche per investitori ESG, investitori privati e anche investitori territoriali (vedi Fondazioni bancarie) vengono utilizzati all’estero per opere di rigenerazione urbana (i vuoti urbani che possono essere riempiti con nuove funzioni sono un asset fondamentale dello sviluppo policentrico), ma hanno delle criticità perché per essere sostenibili economicamente devono finanziare grandi operazioni e in Italia non hanno mai avuto successo per la mancanza di conoscenza e la diffidenza verso lo strumento da parte delle amministrazioni pubbliche. 

Il ruolo dell’attore pubblico

Come affermare quindi un modo di costruire le città che sappia rispettare gli abitanti e il loro sapere? Secondo Sennett lo snodo è dato dall’atteggiamento tenuto da parte del progettista, che non deve plasmare la città secondo il proprio disegno, quanto di “ripararla” artigianalmente e rendere possibile il dialogo progettuale con gli abitanti, anche arrivando a “togliere il disturbo” dove la propria presenza inibirebbe l’espressione della loro voce. Pensare di affidare il coinvolgimento della cittadinanza alla sensibilità di un progettista però – a nostro avviso – non è sufficiente, nonchè rischioso e poco resiliente; bisognerebbe invece che questa funzione fosse assicurata in modo strutturato e continuo dall’attore pubblico, da una politica che si riprenda la responsabilità di disegnare una visione di sviluppo urbano inclusiva, che traduca sulla città una visione di mondo e di società aperta, etica, orizzontale, “storta e sbilenca”, come dice Sennet, che accolga e abiliti le culture, le abitudini e le ambizioni di tutti. (vedi approfondimento dedicato al ruolo dell’attore pubblico nei paragrafi successivi).

Quale il ruolo dell’Attore Pubblico nei processi di valorizzazione dei territori e/o dei patrimoni pubblici quindi?  E come fare rigenerazione urbana attraverso l’erogazione di servizi di interesse generale?

Nel corso del 2019 abbiamo indagato la fattibilità di un Eco-distretto Cooperativo – grazie allo studio di fattibilità, realizzato per conto di INVITALIA – MISE, finalizzato all’identificazione e utilizzo di metodologie di coinvolgimento attivo della cittadinanza per l’urbanizzazione inclusiva e sostenibile come contributo al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda, che abbiamo condotto in partnership con il Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano, Finabita, Impronta Etica, Amici di LabGov, Coopservizi, Filippo Weber Architects, e con i portatori di interesse quali Gruppo Unipol, Genera, CMB, Delta Ecopolis, Darcasa, INU, FHS e Banca Etica.

Grazie all’analisi svolta, in collaborazione con la Prof.ssa Angela Pavesi del Politecnico di Milano, possiamo dire, che le esperienze nazionali che oggi abbiamo a disposizione, pur con l’introduzione del Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA), il primo prototipo italiano di Fondo ad apporto, sono o di matrice fortemente pubblica o di matrice privatistica. In altri termini l’attore pubblico o lavora in quasi totale autonomia anche come esecutore (diretto o indiretto), o segue passivamente la compagine privata mediante concessione di permessi e compensazioni urbanistiche. Una decisiva componente di innovazione dei processi di rigenerazione urbana in un’ottica inclusiva e sostenibile, a nostro parere, risiede soprattutto nel ripensamento e nello sviluppo di un ruolo dell’attore pubblico quale regolatore, promotore e “abilitatore”, nonché garante, di interventi che sappiano guardare in modo oggettivo all’interesse pubblico e allo sviluppo urbano nel suo complesso. Il modello di Eco-distretto Cooperativo propone, quindi, come elemento di fattibilità la capacità dell’attore pubblico di acquisire nuova consapevolezza del suo ruolo di promotore di costruzione e aggregazione delle partnership pubblico-private. 

Occorre per questo superare le difficoltà quasi sempre presenti nella fase di raccolta di manifestazioni di interesse, attraverso lo sviluppo di strumenti efficaci per individuare e selezionare i migliori player a vocazione sociale capaci di garantire i risultati prefissati, premiando i progetti migliori e che garantiscono in modo più solido possibile il raggiungimento di obiettivi di impatto economico, sociale ed ambientale rilevanti. In altri termini, riteniamo di fondamentale importanza che il processo di co-progettazione e di sviluppo sia condiviso in modo maggiormente efficace fra attori pubblici e attori privati, dove i primi hanno necessità di assumere un nuovo protagonismo in termini di regolazione del mercato e di abilitazione della messa a terra dei nuovi modelli di intervento.

Le sfide individuate e le domande che ci siamo posti fino a qui le abbiamo condivise anche nell’interlocuzione con i nostri amministratori locali, trovandoci in una città, come Firenze, che come le altre si trova a doversi ripensare, alla luce di difficoltà che vive più di altre, come la vocazione turistica la cui venuta meno oggi mette in ginocchio economicamente la città; e alla luce degli strumenti di pianificazione territoriale che si sta accingendo ad emanare e che fortunatamente – come ci dice l’Assessora all’urbanistica Cecilia Del Re – avevano già colto alcune delle direttrici di cambiamento su cui oggi è ancora più necessario investire, come il Piano del verde, che segna un cambio di passo decisivo nel considerare il verde non più un tema di arredo urbano ma un asset intorno al quale costruire un nuovo modello di città, nuove funzioni, nuove pratiche urbane, una nuova vivibilità in grado di migliorare la salute, il benessere e la qualità della vita della comunità. 

Un’altra occasione di ripensamento collettivo, di progettualità condivisa, di emersione dei bisogni delle comunità è rappresentato anche dall’imminente avvio del processo partecipativo pubblico che porterà all’adozione del Piano Operativo Comunale (POC), strumento urbanistico che attua gli indirizzi del Piano Strutturale Comunale, articolandoli in periodi di cinque anni, stabilendo nel dettaglio dove, come e quanto si può intervenire nella trasformazione, valorizzazione e tutela del territorio comunale, sia nelle aree urbane che nelle aree agricole. “Sarà un momento prezioso, ancor più in queste circostanze, per progettare la città con la città – dice Del Re. Anche in questo strumento erano state anticipate alcune sfide che oggi si dimostrano ancor più pertinenti, come la rigenerazione di grandi aree pubbliche pensate per  ospitare operazioni di housing sociale destinate alla “fascia grigia”, per riportare cittadini e giovani coppie a vivere di nuovo il centro storico; così come le azioni già intraprese per delocalizzare i flussi turistici e favorire l’ospitalità diffusa e la creazione di nuovi servizi locali, a livello di area metropolitana. 

Un’interlocuzione che oggi più di prima vorremmo continuare a mantenere con l’amministrazione, mettendo a disposizione le nostre competenze e contribuendo ad immaginare una Firenze del futuro, in risposta all’appello lanciato dal Sindaco Nardella, liberata da una vocazione prevalentemente turistica e rifondata su un’identità sostenibile, inclusiva e capace di sfruttare la tecnologia al proprio servizio

Piani per la ricostruzione:

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