Focus 4 – Smart working

Un focus settoriale inserito all’interno dell’articolo più ampio “Prima di domani. Chiediamoci cosa vogliamo veramente

Tra le questioni che l’emergenza Covid-19 sta ponendo ai lavoratori/trici vi è il problema e l’opportunità del lavoro a distanza. Come tra gli altri aspetti accelerati dalla pandemia globale, anche la corsa allo smart working o, per meglio dire, al lavoro da remoto, avviene in molti casi in una situazione emergenziale, non pianificata e non organizzata in modo sostenibile nel tempo. Il lavoro da remoto senza vincoli orari non è affatto una novità in sé; saranno oggi le dimensioni e la tipologia dei lavoratori/trici implicati a fare la differenza con il passato. Non più solo lavoratori cognitivi, professionalità legate all’economia digitale e della conoscenza ma, con la parziale sospensione e riorganizzazione di molte attività produttive, solo in Italia sono milioni i lavoratori che hanno cominciato a sperimentare nuove modalità di lavorare, di comunicare e di produrre.

E anche in questo caso i problemi saranno quelli di prima, aggravati dall’improvvisazione con cui questo fenomeno sarà atterrato sulle organizzazioni senza che una vera cultura del lavoro “smart” sia maturata all’interno delle aziende come scelta ponderata e condivisa, ma praticata per “necessità”. Lo smart working infatti è una modalità che ha sempre incontrato molte resistenze (negli ultimi anni è cresciuto, ma non ha mai veramente sfondato), sia da parte delle aziende, che dei lavoratori e dei sindacati, ce lo hanno confermato recentemente anche i risultati del workshop de “Il Lavoro che ha senso”, che abbiamo gestito per conto di CRU Toscana e Unipol Gruppo. Resistenze dovute ad una serie di criticità e rischi reali, che non sono ovviabili, se non in un quadro di condivisione da parte di tutti gli attori coinvolti di una forte intenzionalità e fiducia bidirezionali e un buon design del processo (responsabilità, strumenti, formazione); fuori da questo perimetro, l’operazione fallisce. 

Quello che stiamo vivendo è un grande esperimento collettivo imposto dal CODIV19, da cui se sapremo imparare potrà nascere un modo nuovo di lavorare, che prima per molti era impensabile. Ma perché sia una reale opportunità occorre lavorare sulla dimensione culturale: una dimensione più profonda e lenta del cambiamento tecnologico che avviene in superficie” – ci dice Letizia Piangerelli, professionista che lavora con diverse realtà che già da tempo hanno adottato il lavoro da remoto, come Cocoon Pro, augurandosi che questa grande attenzione per lo “smart working” non si  trasformi in una moda passeggera. “Ci vorrà cura per realizzare cosa implica davvero il remote working e quali opportunità può offrire, al di là delle condizioni di eccezionalità non sempre ideali in cui viene vissuto adesso (dove è spesso combinato con l’homeschooling ed altre difficoltà collegate all’emergenza)

Ad esempio, il fatto che oggi sia una possibilità per molti per cui prima non era negoziabile, aumenterà la pressione affinché sia mantenuto anche dopo l’emergenza, con un grande effetto sistemico sull’intera società. Il come farlo però non può essere affidato a ricette standard, ogni organizzazione è unica ed è a partire da quell’unicità che potrà trovare la sua strada verso modi migliori di organizzare il lavoro. Sapendo che questa esperienza e quella di coloro che da tempo hanno sviluppato maestria in questo ambito possono comunque offrire spunti preziosi per orientare al meglio il cambiamento.

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