Analisi – Una questione di densità

Il tratto distintivo urbano, tra nuovi rischi e ritrovate opportunità  

Le nostre città, ingessate dal lockdown, dovranno ripartire, garantendo provvedimenti funzionali ai bisogni dei cittadini e alla ripresa dell’economia. “Torneremo al lavoro e a scuola e ci riuniremo di nuovo nei ristoranti, nei teatri e negli stadi. Ma quando lo faremo, le città e i loro leader non potranno limitarsi a tornare agli affari di prima. Non solo il COVID-19 minaccia di riapparire in ondate successive, se non saremo vigili, ma ci potranno essere future pandemie contro cui lottare”. Così Richard Florida (Rotman School of Management, School of Cities dell’Università di Toronto e Schack Institute of Real Estate dell’Università di New York) e Steven Pedigo (Lyndon B. Johnson School of Public Affairs – Università del Texas ad Austin), mettono a fuoco in 10 punti il tema degli spazi e della loro riprogettazione, dalla scala cittadina fino a quella domestica. 

In pratica, andremo a consolidare la distanza sociale, nuova abitudine, attraverso la riorganizzazione degli spazi e la diminuzione di prossimità. L’ingegneria civile e l’architettura saranno complici di questo processo. Infrastrutture come stazioni, metropolitane, bus, treni, aeroporti dovranno essere probabilmente ripensati per essere sì un posto da frequentare in tutta sicurezza ma anche il mezzo per accompagnarci agevolmente nella quotidianità che ci aspetta dopo il Coronavirus.

Il cambiamento sta già influendo, in maniera più diffusa, anche sulla mobilità e sulla considerazione dell’utilizzo di mezzi di trasporto sostenibili – quali biciclette e monopattini – perché, dopo il Coronavirus, sarà prevedibilmente più naturale preferire uno spostamento in solitaria. “Nelle ultime settimane, Bogotá è stata una delle prime città a utilizzare questo tempo per espandere il suo programma Ciclovia. Con un lavoro che si è svolto di notte, sono stati collegati 583 chilometri di strade e piste ciclabili in bicicletta, scooter, corsa e passeggiate (…). Poco dopo, anche il sindaco di Città del Messico ha annunciato una rete di strade simili in tutta la città e più tardi il governatore di New York, Andrew Cuomo, ha presentato una serie di iniziative per espandere la rete ciclabile e migliorare la sicurezza per i ciclisti.”, questi alcuni degli esempi riportati da Helle Søholt, CEO di Gehl, leader mondiale nella progettazione urbana incentrata sulle persone.  Sempre Helle Søholt sottolinea come l’emergenza sanitaria abbia ridisegnato il significato di spazio pubblico e spazio privato, con l’esempio dei cortili condominiali e dei balconi, spazi privati a cui oggi viene riassegnato un ruolo di socialità e relazione tipico dello spazio pubblico.

Un altro riferimento interessante, basato sullo human centred design è quello contenuto in Soft Cities. Builiding dencity for every day life, a cura di David Sim, creative director di Gehl. Anziché pensare alle città come a una raccolta di edifici e di sviluppo urbano impressionante, Sim pensa a loro come a una serie di relazioni: tra persone e luoghi, persone e pianeta, e persone e altre persone. Il punto di partenza è come si può collegare un essere umano a quante più esperienze possibili. Al concetto di software, quindi, si affianca quello di “softness”, la permeabilità, la facilità di entrare, uscire e vivere.

Per decenni, tanta pianificazione urbana è stata focalizzata sull’elaborazione di modi per riorganizzare l’attività umana in silos distinti, per separare persone e cose e, in tal modo, ridurre il rischio di conflitto; mentre Sim si concentra su come riunire e ricollegare aspetti potenzialmente contrastanti dell’esistenza quotidiana, per migliorare la qualità della vita. “Si tratta di densità e diversità” – afferma Sim –  “La densità da sola non è interessante“.

In altre parole, non è sufficiente che le città contengano molti edifici vicini: ciò che li fa funzionare è se gli edifici/le aree stesse supportino una moltitudine di risorse e interazioni. Così i vantaggi di un approccio stratificato alla progettazione edilizia e alla pianificazione urbana complessiva sono anche ridurre la quantità di viaggi in auto e spostamenti che le persone devono fare. Se le risorse sono assemblate in modo tale che una persona che esce di casa possa accedere a tutto ciò di cui ha bisogno camminando, andando in bicicletta o prendendo i mezzi di trasporto, si liberano le strade dalle auto, creando spazio perché possano essere “stratificate” e consentire il plug in di altre funzioni, consentendo lo svilupparsi di nuove modalità ed abitudini di vita e di consumo, a sostengo ad esempio delle economie locali. Ancora una volta quindi, urbs e civitas, si condizionano in modo circolare.

L’elemento della densità, oggi, ovviamente si complica. Rimane una fondamentale esternalità positiva che – attraverso la concentrazione di attori e di funzioni, lo scambio ravvicinato e il trasferimento informale di esperienze e competenze – rende le città luoghi ricchi e serendipici. Di contro è l’elemento su cui oggi siamo necessariamente chiamati a riflettere, sia perchè c’è una “densità ricca” e una “densità povera”, che cambia sostanzialmente le condizioni di chi  vive? l’emergenza – come sottolinea Florida in The Geography of Coronavirus – sia perchè la densità, in quanto attributo tipicamente urbano, coinvoglia oggi le paure di contagio sulle città. Ma a ben vedere in Italia i primi focolai di contagio non si sono sviluppati nelle grandi città, ma in contesti periurbani.

Questa lettura – ci fa notare Giampiero Lupatelli – ci suggerisce forse di cogliere nei luoghi di innesco della diffusione pandemica una singolare sovrapposizione tra le condizioni di ordinario cosmopolitismo delle periferie metropolitane, inserite dalla modernità nei flussi delle relazioni commerciali e turistiche intercontinentali ma rimaste ai margini – come le fragili risposte dei loro presidi sanitari sembrerebbero suggerire – dell’ infrastruttura sociale delle alte prestazioni e delle nuove tecnologie, sottoposte ad un incessante processo di concentrazione, simmetrico alla diffusione residenziale e produttiva che di queste periferie ha alimentato la crescita quando non la formazione”. 

Una riflessione, quella di Lupatelli, che introduce molto bene la nostra riflessione centrale, quella di un nuovo policentrismo.

Piani per la ricostruzione:

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