Una visione sistemica per garantire diritti e combattere le disuguaglianze

Enrico Giovannini, portavoce di ASviS, anche in base alle evidenze messe in luce da una prima analisi dell’effetto della crisi pandemica sulle dimensioni dello sviluppo sostenibile condotta dall’Alleanza, ha ribadito che “Mai come ora bisogna parlare di giustizia sociale”, sottolineando ancora una volta che una delle lezioni di questa crisi è che la classica distinzione tra dimensioni economiche, sociali, istituzionali e ambientali dei problemi andrebbe mandata in pensione. Su questa convinzione si sono concentrate le proposte di policy elaborate da ASviS e Forum Disuguaglianze e Diversità, come il SEA Sostegno di emergenza per il lavoro autonomo e un Reddito di cittadinanza per l’emergenza (REA). Un sostegno al reddito delle persone e delle famiglie in grado di contrastare l’impoverimento e mantenere la coesione sociale e democratica del Paese, si legge nel documento “Curare l’Italia di oggi, guardare all’Italia di domani”.

Ci si interroga se la crisi stimolerà il cambiamento dell’attuale modello di sviluppo nella direzione indicata dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, oppure se l’urgenza di affrontare i danni economici che la crisi produrrà dovrà prevalere su tutte le altre esigenze, privilegiando la creazione di posti di lavoro, ma trascurando gli aspetti ambientali o le potenziali disuguaglianze che le ricette economiche classiche possono causare. Noi, così come ASviS, crediamo che una forte risposta alla crisi economica possa essere orientata anche alla transizione ecologica e la lotta alle disuguaglianze, perché la condizione in cui il Paese e il mondo si trovava pochi mesi fa era comunque insostenibile da tutti i punti di vista.

Il rapporto ASviS evidenzia che l’epidemia da Coronavirus, insieme alle e le azioni di contenimento messe in campo per contrastarla ad esempio, stanno tagliando le concentrazioni di alcuni inquinanti atmosferici (anche) in Italia; anche le emissioni di gas serra sono attese in calo nel nostro Paese, ma in entrambi i casi si tratta di variazioni di breve durata che non porteranno benefici – soprattutto guardando alla dimensione climatica – in termini di sviluppo sostenibile. Al contrario, la crisi economica innescata dal virus si preannuncia già come una bomba sociale che rischia di avere pesanti ricadute anche in termini di sostenibilità.

Per un futuro più giusto serve un’alleanza strategica tra giustizia sociale e ambientale: questo è il tema su cui ci siamo concentrati nel colloquio con Vittorio Cogliati Dezza a cui abbiamo chiesto di dettagliare, rispetto a quanto già esposto nell’articolo “Covid-19: una crisi di sistema richiede una risposta sistemica”, quali siano le implicazioni pratiche, nelle scelte politiche e nell’implementazione delle policy, di questa visione. 

“Io parto da un postulato: oggi quello che manca non sono le conoscenze, ce le abbiamo tutte, ma è come se fossero sparse su un tavolo in modo molto disordinato o meglio secondo un ordine fortemente finalizzato alla massimizzazione del profitto e del vantaggio privato. Si tratta di rimetterle in fila e cambiare l’ordine delle cose”, afferma Cogliati Dezza.

Le politiche ambientali fatte fino ad oggi ad esempio erano tutte misure neutre dal punto di vista sociale. Pensate in astratto per il cittadino medio, non considerando che ci sono soggetti che a quelle misure non possono accedere. Storicamente è stato così per l’eco bonus: nella prima fase la detrazione fiscale ha escluso tutte le famiglie incapienti, successivamente questa misura è stata corretta con la possibilità di cedere la detrazione fiscale ad agenzie, potendo ricorrere ad operazioni bancarie. Ancora qui era necessario un capitale di ingresso da anticipare, che esclude la fascia più bassa della popolazione.  Se parliamo di riqualificazione energetica degli edifici, questo aspetto incide ad esempio indirettamente anche sulla possibilità di riqualificare le case popolari (abitate dai ceti meno abbienti) e tendenzialmente le periferie, abitate anch’esse da fasce di popolazione meno facoltose.

Quindi, oggi abbiamo le conoscenze e gli strumenti, ma le norme e le misure politiche per avviare la diffusione di un nuovo accesso all’energia escludono parte della popolazione,. anche se il nuovo decreto governativo per rilanciare l’economia sembra aprire spiragli. Allora si tratta di rimettere in ordine i fattori ed operare un cambiamento di prospettiva, domandandosi: a chi prioritariamente vanno indirizzate queste misure? E’ necessario concepire misure sociali utilizzabili dagli “ultimi”, perchè solo così è possibile arrivare a tutti. 

Così è anche per la mobilità sostenibile e il car sharing, che sono accessibili solo per chi vive nelle aree centrali della città e chi risiede nelle cinture metropolitane non ha accesso a queste opportunità; così è per la didattica a distanza e il digital divide, che ha escluso in questa fase aree interne dove non c’è linea e le famiglie più povere anche se possiedono uno smartphone ma spesso non hanno altri dispositivi e  disponibilità di collegamento wi-fi.

Un’altra forte questione su cui porre attenzione – evidenzia Cogliati Dezza -, e che è stata fortemente combattuta dal liberismo, è la cultura della prevenzione (quella sanitaria, cui si riferiva anche Maciocco) più generalmente intesa come capacità di non vivere esclusivamente immersi nel presente. “Bisogna avere uno strabismo fruttuoso (è di Cogliati Dezza l’espressione che abbiamo usato in apertura), con uno sguardo al presente ma anche al futuro”, capire le risorse di oggi e le conseguenze di domani. Nella scuola così come nella sanità, negli anni, si è operato sistematicamente un indebolimento della resilienza dello Stato. 

Chiaro che in questo quadro la politica abbia delle colpe, quelle di vivere non solo nell’orizzonte temporale di una legislatura, ma in una dimensione di campagna elettorale permanente. Per questo forse i sindaci in questo momento sono la parte migliore della politica, potendosi permettere almeno il lusso di ragionare su 5 anni di prospettiva di governo”. Tutto ciò rappresenta un problema di cultura politica, di capacità di imporsi e di lavorare sull’interesse generale. 

Rimane sul tavolo un problema di risorse, c’è un tema di equità fiscale e di prelievo. Prima ancora di rivedere la fiscalità generale – commenta Cogliati Dezza – ci sarebbero altre leve di politica fiscale, anche più immediate, da mettere in campo: 

  1. Un occhio attento alla finanza – in campo finanziario comincia a muoversi qualcosa, ad esempio con la nuova attenzione su ESG. In questi anni gli investimenti in energie rinnovabili ad esempio sono cresciuti; si cominciano a concepire nuove tipologie di condizionalità green per le imprese che accedono a contributi pubblici. Il Green Deal di cui si parla in Europa si muove in questa direzione. 
  2. I sussidi ambientalmente dannosi (SAD) – ossia l’insieme delle uscite dello Stato (attraverso spese dirette, contributi e incentivi) o di minori entrate  (attraverso spese fiscali, vale a dire agevolazioni, esenzioni o riduzioni) per incoraggiare attività economiche che abbiano un impatto negativo per l’ambiente – valgono 19 miliardi di euro. na cifra che potrebbe essere progressivamente ma rapidamente recuperata ed impiegata a sostegno di investimenti green.
  3. La modulazione dell’iva per i prodotti ambientalmente più sostenibili, utilizzando la leva dell’iva si può favorire il consumo di determinati prodotti piuttosto che altri. Così come la possibilità di rivedere la convenzioni per l’utilizzo di fonti di acqua minerale; estrazione di materiale di costruzione da cave e i prezzi delle concessioni demaniali per le spiagge.

Il rapporto tra giustizia ambientale e sociale è dunque oggi quanto mai cruciale perchè sono sempre più strettamente due facce della stessa medaglia. Oggi viviamo una condizione sociale e psicologica di emergenza, mai vissuta dalle generazioni post belliche; è possibile che questa nuova percezione renda la popolazione (la domanda) e la politica (l’offerta) più attenta alla questione climatica. L’augurio è quindi che da questa emergenza si esca con una attrezzatura culturale e politica più consapevole dei rischi emergenziali. 

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